“MI VERGOGNO DI ESSERE UOMO: rivelando l’oscuro specchio dell’umanità: un esame senza sconti della cattiveria umana
Nel tessuto intricato della società umana, c’è un filo oscuro che intreccia la nostra storia, una realtà che non possiamo più ignorare né tacere. Mi vergogno di essere uomo quando osservo la nostra indifferenza verso il dolore degli altri e la nostra capacità di infliggere sofferenza agli esseri viventi, umani e animali. È un tema che va al di là delle singole azioni crudeli, è una caratteristica più profonda dell’essere umano che richiede un esame approfondito.
Nell’epoca moderna, con i mezzi di comunicazione che ci permettono di vedere e sapere di più di quanto avremmo potuto in passato, ci aspetteremmo che l’empatia e la compassione prosperassero. Tuttavia, non possiamo ignorare il fatto che viviamo in un mondo in cui la sofferenza altrui viene spesso ignorata o addirittura accettata come normale. Dalla violenza domestica alle ingiustizie sociali, siamo testimoni di una vasta gamma di comportamenti disumani.
Uno degli aspetti più inquietanti di questa cattiveria umana è la sua manifestazione nei confronti degli animali. In nome del profitto, del piacere personale o della semplice convenienza, gli esseri umani li sfruttano e li maltrattano senza esitazione. Dai brutali allevamenti intensivi, dove gli animali sono costretti a vivere in condizioni inimmaginabili, alle crudeltà nei confronti della fauna selvatica, la lista delle atrocità inflitte agli animali è infinita. Eppure, nonostante le prove schiaccianti del loro dolore e della loro sofferenza, molti di noi continuano a voltare lo sguardo altrove, a ignorare le loro grida silenziose di disperazione.
Questo esame senza sconti della cattiveria umana ci invita a guardare dentro di noi stessi e a confrontarci con le nostre ombre più oscure. Non si tratta solo di riconoscere la presenza del male nel mondo, ma di esaminare attentamente le radici profonde di tale male all’interno di noi stessi e della nostra società.
Una delle domande più importanti che dobbiamo porci è: perché? Perché gli esseri umani sono così capaci di infliggere dolore e sofferenza ad altri esseri viventi? Le risposte a questa domanda sono complesse e multifattoriali. Possiamo guardare alla storia, alla cultura, alla psicologia individuale e collettiva per trovare spiegazioni.
La storia umana è segnata da episodi di violenza e oppressione, dall’antica schiavitù al colonialismo, dalle guerre mondiali alle persecuzioni religiose e razziali. Questi eventi hanno plasmato la nostra comprensione della violenza e della cattiveria, trasmettendo modelli comportamentali che possono essere difficili da spezzare.
La cultura svolge un ruolo fondamentale nel determinare cosa sia considerato accettabile o no in una società. Le norme sociali, le tradizioni e le credenze possono influenzare il modo in cui gli individui giustificano e perpetuano la violenza.
Anche la psicologia individuale e collettiva gioca un ruolo cruciale nel determinare il comportamento umano. L’egoismo, la mancanza di empatia e la disconnessione emotiva possono portare gli individui a giustificare o addirittura a godere del dolore altrui.
Ma non tutto è perduto. Nonostante l’oscurità che possiamo osservare nel mondo, ci sono anche segnali di speranza. La gentilezza, la compassione e l’altruismo sono caratteristiche intrinseche dell’essere umano che possono essere coltivate e incoraggiate.
La chiave per combattere la cattiveria umana è l’educazione e la consapevolezza. Dobbiamo educare le generazioni future sul valore della vita, sull’importanza dell’empatia e sulla responsabilità di proteggere gli esseri vulnerabili. Dobbiamo anche promuovere politiche e leggi che proteggano i diritti degli animali e puniscano coloro che li maltrattano.
In conclusione, mentre mi vergogno di essere uomo quando rifletto sulla cattiveria che permea la nostra società, non posso permettere che questa vergogna sia paralizzante. Dobbiamo trasformare la nostra vergogna in azione, impegnandoci a creare un mondo in cui la gentilezza e la compassione prevalgano sulla cattiveria e sull’indifferenza. Solo allora potremo veramente dire di aver colto l’essenza della nostra umanità e di aver creato un mondo migliore per tutti gli esseri viventi.
Carlo Makhloufi Donelli
La foto che ho scelto per questo articolo tanti la conoscono, ma forse non ne conoscono la storia:
L’8 giugno 1972, cinquant’anni fa, un gruppo di cacciabombardieri Douglas A-1 Skyraider dell’aviazione sudvietnamita attaccò con le bombe al napalm Trang Bang, un paesino del Vietnam del Sud non lontano dalla capitale Saigon, occupato in quel momento dalle forze nordvietnamite.
Quel giorno però i cacciabombardieri sbagliarono obiettivo e colpirono i propri stessi soldati, insieme a un tempio religioso dove si erano rifugiati alcuni civili. Tra questi c’era Kim Phúc, una bambina di 9 anni residente a Trang Bang con la famiglia: quando il napalm la colpì il suo braccio sinistro prese fuoco e il suo vestito si distrusse in pochi secondi. Phúc reagì scappando dal tempio insieme a fratelli e cugini, gridando “Nóng quá, nóng quá!” (“Scotta, scotta!”) e correndo verso l’obiettivo di Nick Ut, fotografo di Associated Press allora ventunenne.
Poco dopo, la bambina perse conoscenza e Ut la portò in auto in un piccolo ospedale. Inizialmente i medici non volevano curarla, dicendo che le ferite erano troppo gravi, ma Ut mostrò il suo tesserino da giornalista americano e lasciò l’ospedale con l’assicurazione che sarebbe stato fatto il possibile. Tempo prima, Ut aveva perso un fratello – anche lui fotografo – mentre era in servizio per Associated Press nel delta del Mekong meridionale, e rimase scosso dal bombardamento.
Al tempo l’agenzia Associated Press aveva una rigida politica che vietava di diffondere foto di nudi, a maggior ragione di una bambina. Tuttavia Horst Faas, capo dei fotografi di AP nel Sudest asiatico e premio Pulitzer nel 1965 e nel 1972, decise di farla pubblicare lo stesso.
Fonte: https://www.ilpost.it/2022/06/08/foto-guerra-vietnam-kim-phuc/