Progetto Edipo (Eliminazione delle isole plastiche oceaniche)

Cos’è “Progetto EDIPO“?

L’obiettivo del progetto è quello di eliminare la plastica da oceani, mari, fiumi e da tutti quei luoghi che sono ormai pesantemente contaminati da questo materiale, contemporaneamente procedendo alla sua trasformazione in un altro tipo di materiale non tossico e totalmente riciclabile.

 

 

Il Pacific Trash Vortex, noto anche come “Great Pacific Garbage Patch”, è uno degli enormi accumuli oceanici di spazzatura galleggiante (composti soprattutto da plastica), ed è situato nell’Oceano Pacifico, approssimativamente fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord.

 

Insieme al “North Atlantic garbage patch”, situato nell’Oceano Atlantico, ed a altri 5 accumuli «minori» questo ammasso di immondizia ha una estensione di più di 16 milioni di kmq, ovvero è quasi pari alla superficie della Russia.

Quanti sono 16 milioni di kmq? Fate voi il confronto:

 

Negli oceani si sta accumulando un’enorme quantità di plastiche non biodegradabili. La plastica invece si fotodegrada, cioè si disintegra in pezzi sempre più piccoli.

La fotodegradazione della plastica può produrre inquinamento da PCB, policlorobifenili, una classe di composti organici la cui struttura è assimilabile a quella del bifenile i cui atomi di idrogeno sono sostituiti da uno fino a dieci atomi di cloro.

Sono considerati inquinanti persistenti dalla tossicità in alcuni casi avvicinantesi a quella della diossina.

 

Il galleggiamento delle particelle plastiche ne induce l’ingestione da parte degli animali planctofagi, e ciò causa l’introduzione di plastica nella catena alimentare.

Nel 2001, il rapporto tra plastica e zooplancton era di 6 a 1.

Queste isole costituiscono un ecosistema dove la plastica è colonizzata da circa mille tipi diversi di organismi eterotrofi, autotrofi, predatori e simbionti, tra cui diatomee e batteri, alcuni dei quali apparentemente in grado di degradare la materia plastica e gli idrocarburi.

In esso si trovano anche agenti potenzialmente patogeni, come batteri del genere vibrio.

La plastica, a causa della sua superficie idrofobica, presenta una maggior resistenza alla degradazione e si presta a essere ricoperta da strati di colonie microbiche.

 

QUALCHE CIFRA

 

La concentrazione media stimata della plastica è di 3,34 × 10⁶ frammenti per km², con una media di 5,1 kg/km² raccolti utilizzando una rete a strascico rettangolare delle dimensioni di 0,9×0,15 m.

A 10 m di profondità la concentrazione è circa la metà di quella in superficie, con detriti che consistono principalmente di monofilamenti, fibre di polimeri incrostati di plancton e diatomee.

Tuttavia l’insieme delle isole, che oggi comprendono anche quelle ad Ovest del Cile, quelle Sud-atlantiche tra Argentina e SudAfrica e quelle del Mare di Barents, potrebbero contenere oltre 600 milioni di tonnellate di detriti, cifra che cresce di 50 kg. al secondo, ovvero ~ 4.300 Tm al giorno.

 

 

ANALISI STRUTTURALE​

 

Si stima che ~ 2,5 milioni di tonnellate di plastica entrino nell’oceano ogni anno dai fiumi.

Più della metà di questa plastica è meno densa dell’acqua, quindi non affonderà entrando in mare.

Ad oggi è verosimile che nel complesso delle 6 maggiori isole di plastica siano presenti ~ 12 trilioni di pezzi di plastica, con concentrazioni che vanno dai ~ 100 kg./km² nelle zone centrali per scendere a ~ 10 kg./km² nelle zone periferiche.

La stragrande maggioranza delle materie plastiche flottanti sono fatte di polietilene rigido (PE), polipropilene (PP), o di attrezzi da pesca abbandonati (in particolare reti e corde), di dimensioni variabili, da piccoli frammenti a oggetti più grandi e reti da pesca di dimensioni normali.

​Più del 90% dei frammenti è costituito da oggetti più grandi di 0,5 cm, con ~ ¾ del totale tra i 5 e gli oltre 50 cm., ed il 45% ~ del totale sono reti da pesca.

 

 

IMPATTO SULLA VITA​

 

Sono ~ 700 le specie marine che vivono nell’ambiente ove si trovano le isole di plastica.

La analisi compiute sulle tartarughe marine hanno dimostrato che ingeriscono fino al 74% di plastica oceanica, mentre i pulcini di albatro di Laysan, provenienti dall’atollo di Kure e dall’isola di Oahu, arrivano al 45%.

Poiché l’84% di questa plastica è risultato avere almeno una sostanza chimica di bioaccumulo tossico persistente (PBT), gli animali che ingeriscono questi detriti ingeriscono anche le sostanze chimiche altamente tossiche che contengono, e quando la plastica entra nella rete alimentare marina contamina anche la catena alimentare umana attraverso un processo chiamato bioaccumulo,

​Il problema colpisce anche l’economia: l’ONU stima che il danno ambientale causato dalla plastica agli ecosistemi marini costi ~ 13 miliardi di dollari.

 

 

COSA SI STA FACENDO OGGI​

 

Diverse iniziative sono state avviate, dato che il problema è ormai noto.

Recentemente la statunitense NOAA, National Oceanic and Atmospheric Administration, ha stretto un accordo con gli organizzatori della VOLVO OCEAN RACE, la competizione velica professionale più lunga e più dura del mondo, durante la quale gli equipaggi percorrono 45.000 miglia nautiche, suddivise in 11 segmenti che toccano sei dei continenti del mondo e 12 diverse città ospitanti.

 

 

Una delle barche da regata, la “Turn the Tide on Plastic”, filava uno strumento speciale dotato di filtri che catturavano e misuravano le particelle di microplastica da campioni di acqua oceanica.

Nel frattempo, le altre sei barche da regata hanno dislocato 28 boe NOAA alla deriva in diversi punti lungo la rotta di navigazione per raccogliere dati sulle temperature della superficie del mare e su altre misurazioni oceanografiche.

Queste boe, che hanno le dimensioni di un grande pallone da spiaggia, contengono sensori, impianti di trasmissione dati ed un’ancora galleggiante che si estende fino a 15 metri sotto la superficie dell’oceano.

 

 

I dati raccolti durante la Volvo Ocean Race stanno aiutando gli scienziati a conoscere meglio la prevalenza delle microplastiche e il loro movimento attraverso gli oceani del mondo.

 

 

ABBIAMO UNA SOLUZIONE

 

Un mulino a gas dinamico in cui viene implementata la fresatura adiabatica ad impatto a risonanza, con velocità di impatto prossime alla soglia di rottura, può polverizzare questi materiali.

Tale tecnologia esiste.

Nel mio recente passato ho avuto modo di conoscere una macchina che si chiama FDL Megatron.

L’apparecchiatura è in grado di fresare qualsiasi materiale, dal chicco di grano ai diamanti, ciò grazie alla creazione di zone nel mulino a vortice con un gradiente di pressione fino a centinaia di migliaia di atm, grazie alla generazione di risonanza del toroide a più stadi.

 

 

FDL Megatron lavora sulla base delle frequenze di risonanza, e raggiunge una gamma di frequenze da sonica a ipersonica (100 MHz e superiore).

In tale ampio spettro di vibrazioni pulsate per particelle di materiale macinato di qualsiasi dimensione, v’è la frequenza uguale alla frequenza di risonanza di una determinata particella o di un gruppo di particelle.

Un chiaro esempio di cosa possa fare la risonanza lo vediamo in questo filmato:​

 

 

FDL Megatron è in grado di eseguire la fresatura a pezzi ultra fini, misurati in centesimi e millesimi di micron (0,01-0,001 micron).

Il mulino a vortice di risonanza Megatron FDL è un mulino a gas dinamico in cui viene implementata la fresatura adiabatica ad impatto a risonanza, con velocità di impatto prossime alla soglia di rottura.

L’espansione adiabatica fa diminuire la temperatura di processo, evitando il degrado termico del materiale che viene macinato.

​La camera di macinazione è un toroide e non contiene parti rotanti e sfreganti, il che consente di evitare la macinazione di materiali estranei nel prodotto finale.

Cosa fa l’Fdl Megatron lo vediamo in questo filmato, realizzato con un impianto in fase di “test” ed ancora privo degli accessori che permettono sia di caricarlo dall’alto che di evitare che la polvere risultante si disperda nell’ambiente:

 

 

ALCUNI DATI TECNICI

 

Gli Fdl Megatron sono progettati per macinare, asciugare e disidratare in modo efficiente e semplice moltissimi materiali, con prestazioni che attualmente raggiungono una produzione di 270 tonn/ora di materiale trattato.

Il materiale polverizzato risultante può essere poi selezionato e suddiviso mediante risonanza, e stoccato per i successivi impieghi di riciclaggio.

 

 

E DOPO?​

 

Il materiale finemente polverizzato, disidratato, sterilizzato e suddiviso per categorie di prodotto potrà essere riutilizzato quale materia prima per la fabbricazione di prodotti privi delle caratteristiche di tossicità che il materiale aveva in precedenza.

Si potrebbero, per esempio, realizzare materiali da costruzione per fare abitazioni a bassissimo costo, come si vede in questo video:

 

 

Utilizzando il modello hub&spoke il materiale trattato, confezionato in Octabins o Big Bags durante il trasporto, verrà portato mediante navi cargo feeder dal luogo di raccolta e trasformazione al porto di sbarco più prossimo, e da qui inoltrato agli acquirenti.

 

 

NON È UN PROBLEMA SOLTANTO MARINO

DISCARICHE
DISCARICHE

Anche sulle spiagge italiane, e lungo i fiumi, si contano centinaia di rifiuti ogni 100 mt, e l’80% è plastica.

AFRICA
AFRICA

Nel continente africano, la plastica è un problema enorme: finisce sulle strade, nelle canalizzazioni e nei fiumi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 2013, l’11 aprile, l’UNESCO, sollecitata dall’artista italiana Maria Cristina Finucci, approva la costituzione in forma di Stato del Garbage Patch State, che non ha confini ma ha una capitale, Garbaland, una costituzione, un governo ed una bandiera.

È nostra intenzione poter far giungere la voce fino alle istituzioni mondiali più importanti, per esempio l’ONU e l’UNESCO, le quali avevano già dato notevole rilevanza all’opera creata da Maria Cristina Finucci che, dopo l’Unesco a Parigi, la Biennale di Venezia, la Gran Via di Madrid e il Maxxi di Roma, ha portato il suo Garbage Patch State a New York, nella sede dell’Onu, sotto forma di installazione, allestita nell’atrio del Palazzo di Vetro durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Carlo Makhloufi Donelli – ideatore e coordinatore di Progetto EDIPO

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