di Roberto PECCHIOLI
Qui in Occidente tutto va a gonfie vele. La nazione guida ha probabilmente eletto un presidente a colpi di brogli elettorali che verranno riconosciuti fra un po’ di anni, quando tutto sarà storia e si comincerà a capire anche la verità sulla gigantesca operazione Covid 19. In Italia le cose vanno ancora meglio. In mezzo a contorsioni verbali e politiche degne di artisti da circo, abbiamo accettato (o forse no, non del tutto, magari, chissà…) il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, il fondo monetario onnipotente, sciolto da obblighi legislativi e di rendicontazione, i cui dirigenti hanno l’immunità e lo statuto diplomatico. Del resto, viviamo nella monarchia finanziaria, ovvio che i suoi ciambellani siano al di sopra delle leggi.
E’ perfino divertente il MES, a osservarlo da lontano, in un paradiso fiscale, seduti su una comoda poltrona di fronte al mare, con una bevanda rinfrescante in mano e un maggiordomo a disposizione. Si tratta del fantastico dispositivo per il quale uno Stato, diciamo l’Italia, conferisce decine e decine di miliardi “veri”, frutto del sudore dei suoi cittadini, a un organismo che, in caso di bisogno, decide se prestarceli a strozzo, mediante un’apertura di credito dopo la quale impone le politiche nazionali e ottiene il potere sovrano di decretare e applicare gravi sanzioni in caso di inadempienza. Quanto al fondo europeo chiamato Recovery Fund, campa cavallo, mentre il presidente Mattarella consiglia di non essere miopi nazionalisti, ovvero, tradotto dalla lingua di legno di lorsignori, di non difendere gli interessi dell’Italia. Strani presidenti ha lo Stivale.
Diceva Thomas Jefferson, fondatore degli Usa, che è tirannico il potere in cui il governo fa paura ai cittadini e libero quello che teme il giudizio della gente. Che pensare di un governo che mobilita a Natale settantamila armati in divisa non per difendere le frontiere dagli invasori, non per stanare ladri e delinquenti, non per bloccare spacciatori e malviventi vari di cento e più nazionalità, ma per controllare se i cittadini varcano la frontiera del comune di residenza e non indossano correttamente la mitica mascherina, il salvavita “de noantri”. L’ottima dottoressa Lamorgese, prefetto prestato al governo come ministro degli Interni (oh, lo Stato libero e liberale …) è positiva al virus, ma no, è stato un errore, è in ottima salute, colpa di un tampone dispettoso, può partecipare all’allegra brigata del consiglio dei ministri. E’ tutta una rappresentazione, uno spettacolo ad uso del popolo impaurito. Ricordiamo Guy Debord: “lo spettacolo è il capitale a un tale grado di accumulazione da divenire immagine.” Pare che al tempo dei terrorizzati, la maggioranza sia felice così: più sicurezza (molto presunta), meno libertà, pugno di ferro, pene esemplari contro i delinquenti “negazionisti”.
Nello spettacolo degli offesi e dei permalosi in servizio permanente effettivo, brilla il moralismo invertito. Ne fa le spese anche una comica di regime piuttosto sgradevole e volgare, Luciana Littizzetto, fedele spalla di Fabio Fazio, il fratacchione buonista della televisione “de sinistra”. La povera Lucianina ha osato ironizzare su una foto di Wanda Nara, soubrette argentina, moglie, agente e tuttofare del calciatore Mauro Icardi. La bellona dell’emisfero australe ha postato in rete un’immagine che la ritrae in costume adamitico distesa su un cavallo. Il sarcasmo della Littizzetto è incorso nelle ire di Wanda, cui hanno dato man forte alcune femministe del circo dell’intrattenimento. La zuffa finirà in tribunale; fatti loro, ma anche la libertà di satira, come troppe altre, è finita. Non si può scherzare su una foto scollacciata: lo vieta il bigottismo invertito, mentre si può tranquillamente censurare un manifesto dell’associazione Pro Vita sulla pillola abortiva, come sta accadendo in diverse città italiane.
Quello che è capitato pochi giorni fa durante una partita internazionale di calcio – il calcio triste senza tifosi in mano alle televisioni e al baccanale pubblicitario- è il vivido esempio di come l’Occidente abbia perduto la bussola. Uno degli arbitri ha chiamato “nero”, badate bene, nero, non nigger, all’americana, un giocatore di colore in panchina. La partita è stata sospesa per le proteste dell’interessato e l’indignazione a comando dei convenuti. L’arbitro, un rumeno, ha detto “negru”, che significa semplicemente “nero” nella lingua materna di Codreanu, Ionesco e Emil Cioran. Chissà che sarebbe accaduto se avesse chiamato bianco un giocatore europeo. Nulla, è ovvio. Curiosamente, l’atleta ha brandito l’arma del politicamente corretto per evitare l’espulsione. La follia è ormai saldamente al potere. I pazzi conducono gli accecati, come nel Re Lear. Il vittimismo interessato è un’arma impropria. In nome del progresso, della pace e della tolleranza, dilaga la censura e una malattia nuova, l’autoritarismo moralistico.
Scriveva Stefan Zweig che nella Vienna di fine secolo XIX tutti erano convinti di avanzare verso un progresso straordinario. Il benessere li faceva sentire invincibili. Pochi anni dopo, la prima guerra mondiale avrebbe seppellito la gioventù europea e tutte le illusioni. L’ideologia della correttezza politica non potrebbe prosperare se la maggioranza non avesse comportamenti conformisti e non fosse indifferente alla libertà. La post modernità, postera anche di se stessa, ha seppellito la libertà e la stessa democrazia politica fondata sulla scelta popolare dei governanti. Tutti residui del passato, di cui si conserva l’involucro svuotato di sostanza. Il gregge corre disciplinato alle urne dopo aver digerito dosi da cavallo di propaganda, indottrinamento e manipolazione. Gli schieramenti si assomigliano fino a essere indistinguibili, tanto più che chi governa e decide non sono i presidenti e i sedicenti “rappresentanti del popolo “. L’alternanza è solo tra nomi propri: Giovanni prende il posto di Antonio.
Viviamo in una rappresentazione, la perfetta società dello spettacolo. Forse siamo governati da androidi, o da ologrammi. Ci viene in mente lo scenario disegnato dall’americano Philip Dick nel romanzo di fantascienza I simulacri, pubblicato nel 1964. Il racconto è ambientato alla metà del XXI secolo. A capo del governo di una nuova entità politica composta da Stati Uniti ed Europa, la cui sede è la Casa Bianca, c’è un presidente eletto che appartiene all’unico partito esistente. L’ ipocrisia di partiti diversi che fanno le stesse cose è stata messa da parte. Per Dick era normale presumere che ci fosse un solo partito e la democrazia una credenza ingenua mantenuta per una maggioranza di anime candide.
Nel capolavoro di Voltaire, Candido o dell’ottimismo, ambientato nel castello del “più grande signore della provincia e perciò del mondo”, vive un giovane ingenuo e sincero, Candido. Il suo precettore è Pangloss (dal greco, “tutto lingua”) che insegna la “metafisico-teologo-cosmologo-nigologia”, una dottrina filosofica secondo cui, poiché questo è il migliore dei mondi possibili, tutto ciò che esiste ha una ragione di esistere. Secondo Pangloss, i nasi servono per appoggiarvi gli occhiali, ed è per questo che abbiamo gli occhiali. Nel mondo di Philip Dick, il popolo ha mantenuto il diritto di eleggere i propri governanti ogni quattro anni. Il punto è sono tutti androidi, simulacri fabbricati allo scopo di impersonare i governanti. Ciascuno di loro risponde agli interessi di una struttura superiore, oggi diremmo dei poteri forti.
La società è divisa tra una élite che conosce il segreto dei “simulacri” e il volgo ingannato persuaso di vivere in un sistema democratico. Ci sono strani esseri chiamati “paria”, forse prodotti della degradazione radioattiva, uomini di Neanderthal che si rapportano alla realtà solo attraverso la televisione. Interessante previsione, giacché la differenza tra l’élite e il resto del mondo non è data dalla ricchezza, ma dalla conoscenza. Appartengono all’aristocrazia per quello che sanno e non per quello che hanno. Dick aveva capito tutto: la ricchezza non è più la molla del potere, poiché la cupola ha realizzato le condizioni per creare il denaro dal nulla, la finanza “fiat” tanto difficile da comprendere per l’uomo comune. A parte il significato filosofico del termine “simulacro”, l’idea di un’enorme messa in scena che finge di essere realtà percorre l’intera storia del pensiero occidentale, non solo l’opera di Philip Dick. Nella narrazione si intrecciano varie storie parallele, ma il nesso cruciale è la risposta alla domanda su che cosa sarebbero diventate le moderne democrazie di massa. Dick, già negli anni Sessanta del secolo passato, avvertiva che tutto è farsa, simulacro.
L’idea di un unico partito ci mostra che la vera competizione non è più di princìpi, ma una guerra di dominio tra grandi gruppi: multinazionali tecnoindustriali e finanziarie. Lì abita il potere reale, il resto non è che simulacro, un vocabolo che ha la stessa radice di simulazione. Il potere gioca con tutti noi e pone degli androidi, creature tecnologiche antropomorfe, al vertice della finta democrazia. La lotta si svolge solo tra i depositari del grande segreto, ovvero tra chi sa che tutto il sistema visibile è un simulacro. Dick, quasi sessant’anni fa, già capiva che presto le grandi corporazioni- oggi i giganti fintech più le cupole finanziarie e poche decine di multinazionali- sarebbero diventate più potenti degli Stati.
Nel libro, gli Stati Uniti d’Europa e d’America sono governati da una coppia incantevole: il Vecchio, il presidente, e la First Lady, vero motore del potere. Popolare e amatissima ex stella televisiva, la donna nasconde segreti che potrebbero destabilizzare il sistema, e si oppone a ogni tentativo di rovesciamento del suo benigno regime, in mezzo a complotti, colossi industriali, conflitti sociali tra élite e massa, tra chi conosce la verità sulla reale natura del Vecchio e chi crede ciecamente nella verità offerta al pubblico. La first lady è una specie di regina a vita, poiché ricopre il ruolo da settant’anni, mentre i presidenti-androidi sono sostituiti ogni quattro. Lei non è un androide, ma non invecchia. In effetti è sempre splendida, sembra giovane e la gente la adora. Il suo segreto non è nella chirurgia, nella scienza e neppure in un prodigio. La prima, vera, giovane e bella first lady era morta settant’anni prima e da allora è stata sostituita, senza che la gente se ne accorgesse, da attrici dalla fisionomia simile alla defunta.
In mezzo a tutto questo, si muovono altri simulacri: un pianista senza mani che suona grazie al potere mentale; dei marziani che vivono con noi e hanno la capacità di convincere le persone; piogge radioattive causate dalle bombe sganciate dalla Cina che provocano la sterilità. Stranamente, nella finzione letteraria, gli sterili non possono votare. A livello politico e sociologico, il dettaglio decisivo è la divisione della società tra una élite che conosce il segreto dei simulacri e il popolo ingannato, convinto di vivere in un sistema democratico. Un giorno, l’azienda che produce gli androidi di governo minaccia di rivelare il segreto, se le verrà tolto l’affare. Il governo cerca di soffocare la minaccia, ma l’informazione trapela e si sviluppa un colpo di Stato che coinvolge la polizia, (il deep state) la multinazionale e il governo.
Naturalmente, non si tratta del governo-simulacro degli androidi, ma di un Consiglio riservato, sconosciuto alla gente comune, che esercita il potere da decenni, sceglie la “prima signora” di turno attraverso veri e propri “casting“, e designa i presidenti -robot secondo convenienza, e preferenza indotta delle masse manipolate. Nel finale, uno dei protagonisti, per sfuggire alla guerra civile pensa di andare a vivere su Marte, mentre intorno un gruppo di uomini di Neanderthal continua a ballare senza capire nulla di ciò che accade. E’ l’unico elemento di fantascienza in un romanzo per il resto assai realistico. Scriveva José Ortega y Gasset che nel tempo in cui domina – o crede di farlo- l’uomo-massa, questi in realtà non decide nulla, poiché il suffragio universale consiste nell’aderire alla decisone delle minoranze tra le quali si svolge la guerra del potere.
Il capitalismo assoluto ha come regola d’oro di minimizzare il rischio ed eliminare i concorrenti. E’ essenzialmente la tendenza a un monopolio che si allarga a macchia d’olio. E’ come negli scaffali del supermercato: cento, mille etichette diverse per vendere a caro prezzo lo stesso prodotto, convincendo le masse di essere le protagoniste della scelta. Non è diversa la dimensione politica: illudere la maggioranza di esercitare il potere attraverso figurine intercambiabili di politici di servizio, mezze figure ricattabili di scarsa qualità personale, generalmente privi di principi e senso morale.
Chissà che gli androidi non assolverebbero meglio degli umani in carne e ossa la funzione di simulacro del potere. Almeno si farebbe chiarezza, non si correrebbe il rischio di mandare al governo (non al potere, che sta altrove) autentiche nullità, come è il triste caso dell’Italia di questi anni. Non ci sarebbe bisogno di brogli elettorali, di ideologie farsesche e dissolutrici come il politicamente corretto e neppure di organizzare una società dello spettacolo in cui finzione e realtà si confondono fino a coincidere. Meglio smetterla con la fiction. Meglio i simulacri, gli androidi guidati dagli algoritmi, dell’estenuante rappresentazione creduta per coazione a ripetere. Marionette che passione, come nel grottesco dramma teatrale di Rosso di San Secondo.