Si può prendere un abbaglio?

Intendo non solo una svista, come quando prendi una coca light al posto di una coca cola. Intendo proprio un miraggio, una allucinazione, che guida i nostri pensieri e informa le nostre azioni. Una serie di eventi che ci conducono a vedere una situazione in modo distorto, sbagliato — ma di cui siamo perfettamente convinti e sicuri. E in base alla quale ragioniamo, agiamo, giudichiamo. Finché cominciamo a prendere in considerazione qualcosa al di fuori delle certezze al suo interno.
Eh sì, è possibile.
Ciascuno ha nel suo archivio personale una circostanza simile.

Ma alziamo la posta: è possibile che un abbaglio di questo tipo coinvolga molte persone? Magari professionisti, con grande esperienza e incarichi di grande responsabilità?
Ma alziamo ancora la posta: è possibile che una situazione di questo tipo duri più di qualche giorno, magari anche più di una settimana, magari per alcuni mesi?
Ce n’è una di eclatante, e curiosamente pertinente alla nostra attualità.
Si tratta di un caso accaduto in un ospedale negli Stati Uniti nel 2006 (il Dartmouth-Hitchcock Medical Center nel New England).

Una epidemia di pertosse di alcuni mesi, che ha comportato gravi conseguenze per l’ospedale e i suoi pazienti. Al suo culmine erano stati diminuiti i posti letto, allontanati una parte del personale medico e infermieristico, distribuiti vaccini e antibiotici a tappeto.
E fin qua non c’è niente di cui stupirsi: una struttura ospedaliera, fornita di strumenti all’avanguardia e personale specializzato aveva affrontato e risolto con successo una epidemia di una malattia grave e potenzialmente letale per alcuni pazienti.

Tranne che l’epidemia non c’era.
Era un abbaglio. Collettivo. Prolungato.
In perfetta buona fede, i medici, i ricercatori, i biologi, i funzionari e i dirigenti dell’ospedale si sono convinti che c’era l’epidemia. Armati di test ed esperienza, hanno deciso che bisognava fermare la pertosse. E hanno agito di conseguenza. In perfetta buona fede.

È una storia con un quasi-lieto fine, le uniche vittime sono le numerose scatole di antibiotici sacrificati per contrastare questa pseudo-epidemia.
Metto qui di seguito la traduzione dell’articolo del New York Times scritto nel 2007 (l’anno successivo alla pseudo-epidemia). L’originale si trova all’indirizzo https://www.nytimes.com/2007/01/22/health/22whoop.html

4 aprile 2022
Marcello Balbo


La fiducia nei test rapidi ha portato ad una epidemia che non c’era.

By Gina Kolata, New York Times
22 gennaio 2007

La dottoressa Brooke Herndon, internista al Dartmouth-Hitchcock Medical Center, non riusciva a smettere di tossire. Per due settimane a partire da metà aprile dell’anno scorso (2006 ndr), ha tossito, apparentemente senza sosta, e poi per un’altra settimana ha tossito sporadicamente; dando fastidio, ha detto, a tutti coloro che lavoravano con lei.
In poco tempo, la dottoressa Kathryn Kirkland, specialista in malattie infettive a Dartmouth, ha avuto un pensiero agghiacciante: poteva essere la prima a vedere l’inizio di un’epidemia di pertosse? Alla fine di aprile, altri operatori sanitari dell’ospedale stavano tossendo e una tosse grave e intrattabile è un segno distintivo della pertosse. E se si trattava di pertosse, l’epidemia doveva essere contenuta immediatamente perché la malattia poteva essere mortale per i bambini in ospedale e poteva portare alla polmonite anche nei pazienti adulti fragili e vulnerabili.
Era l’inizio di un bizzarro episodio al centro medico: la storia dell’epidemia che non c’era.

Per mesi, quasi tutti i soggetti coinvolti pensavano che il centro medico avesse avuto un’enorme epidemia di pertosse, con vaste ramificazioni. Quasi mille operatori sanitari dell’ospedale di Lebanon (New Hampshire) sono stati sottoposti a un test preliminare e sono stati sospesi dal lavoro fino all’arrivo dei risultati; a 142 persone, incluso il dottor Herndon, è stato detto che sembravano avere la malattia; a migliaia sono stati dati antibiotici e un vaccino per la protezione. La disponibilità di posti letto è diminuita, anche in terapia intensiva (per assicurare il distanziamento ndr).
Poi, circa otto mesi dopo, gli operatori sanitari sono rimasti sbalorditi nel ricevere un messaggio di posta elettronica dall’amministrazione dell’ospedale che li informava che si trattava di un falso allarme.
Ora, mentre riguardano l’episodio, epidemiologi e specialisti in malattie infettive dicono che il problema era che hanno accordato troppa fiducia in un test molecolare veloce e altamente sensibile che li ha portati fuori strada.
Gli esperti di malattie infettive dicono che tali test stanno diventando sempre più utilizzati e potrebbero essere l’unico modo per ottenere una risposta rapida nella diagnosi di malattie come la pertosse, la legionella, l’influenza aviaria, la tubercolosi e la sars, e decidere se si tratta di un’epidemia.

Non esistono dati nazionali sulle pseudo-epidemie causate da una eccessiva fiducia a tali test molecolari, ha detto la dottoressa Trish M. Perl, epidemiologa presso Johns Hopkins ed ex presidente della Society of Health Care Epidemiologists Of America. Ma, ha detto, le pseudo-epidemie accadono di continuo. Il caso Dartmouth potrebbe essere uno dei più notevoli, ma non è in nessun modo un’eccezione.
C’è stato un analogo allarme pertosse all’ospedale pediatrico di Boston lo scorso autunno che ha coinvolto 36 adulti e 2 bambini. I test definitivi, tuttavia, non hanno trovato la pertosse.
“È un problema; sappiamo che è un problema”, ha detto la dottoressa Perl. “La mia ipotesi è che quello che è successo al Dartmouth diventerà più comune”.
Molti dei nuovi test molecolari sono veloci ma tecnicamente impegnativi e ogni laboratorio può eseguirli a modo suo. Questi test, soprannominati “home brews” (come le birre fatte in cassa ndr), non sono disponibili in commercio e non ci sono buone stime dei loro tassi di errore. Ma la loro stessa sensibilità rende probabili i falsi positivi, e quando centinaia o migliaia di persone vengono testate, come è successo a Dartmouth, i falsi positivi possono far sembrare che ci sia un’epidemia.

“Ci troviamo un po’ nella terra di nessuno”, con i nuovi test molecolari, ha affermato il dottor Mark Perkins, specialista in malattie infettive e direttore scientifico presso la Foundation for Innovative New Diagnostics, una fondazione senza scopo di lucro sostenuta dalla Fondazione Bill e Melinda Gates. “Nessuno scommetterebbe su quale sia quello giusto.”
Naturalmente, questo porta alla domanda sul perché fare affidamento su di loro. “A prima vista, ovviamente non dovrebbero farlo”, ha detto la dottoressa Perl. Ma, ha detto, spesso quando sono necessarie risposte e un organismo come il batterio della pertosse è schizzinoso e difficile da coltivare in laboratorio, “non hai grandi opzioni”.
Aspettare di vedere se i batteri crescono può richiedere settimane, ma il test rapido molecolare può essere sbagliato. “È quasi come se stessi cercando di scegliere il minimo dei due mali”, ha detto la dottoressa Perl.
Al Dartmouth la decisione è stata di utilizzare un test, PCR, per la reazione a catena della polimerasi. È un test molecolare che, fino a poco tempo fa, era confinato ai laboratori di biologia molecolare.
“Questo è un po’ quello che sta succedendo”, ha detto la dottoressa Kathryn Edwards, specialista in malattie infettive e professore di pediatria alla Vanderbilt University. “Questa è la realtà là fuori. Stiamo cercando di capire come utilizzare i metodi che sono stati di competenza dei ricercatori”.

Dire che l’episodio sia devastante è un eufemismo, ha detto la dottoressa Elizabeth Talbot, vice epidemiologa di stato per il nuovo dipartimento della salute e dei servizi umani dell’Hampshire.
“Non ci crederà”, ha detto la dottoressa Talbot “ma in quella occasione ho pensato che questo episodio ci ha dato l’idea di cosa potrebbe capitare durante una epidemia di influenza”.
Inoltre, dicono gli epidemiologi, uno degli aspetti più problematici della pseudo-epidemia è che tutte le decisioni sembrano così sensate all’epoca.
La dottoressa Katrina Kretsinger, epidemiologa medica presso il centro federale per il controllo e la prevenzione delle malattie, che ha lavorato al caso insieme alla sua collega dottoressa Manisha Patel, non biasima i medici del Dartmouth.
“Il problema non è che hanno reagito con misure esagerate o fatto qualcosa di inappropriato,” dice la dottoressa Kretsinger. È che spesso non c’è modo per stabilire se si tratta di un’epidemia nelle sue fasi iniziali.
Prima degli anni ’40, quando è stato introdotto un vaccino pediatrico per la pertosse, la pertosse era una principale causa di morte nei bambini. Il vaccino ha portato a un calo dell’80% dell’incidenza della malattia, ma non l’ha eliminata completamente. Questo perché l’efficacia del vaccino declina dopo circa un decennio, e anche se ora esiste un nuovo vaccino per adolescenti e adulti, la sua adozione è solo nelle fasi iniziali. La pertosse, ha detto la dottoressa Kretsinger, è ancora una preoccupazione.

La malattia deve il nome alla sua caratteristica più saliente: i pazienti possono tossire e tossire e tossire fino a quando faticano a respirare, producendo un suono come un urlo (“tosse convulsa” in inglese ndr) La tosse può durare tanto a lungo che uno dei nomi comuni per la pertosse era la “tosse dei 100 giorni”, ha detto la dottoressa Talbot.
Ma né il tossire a lungo e con forza né la convulsione sono esclusive delle infezioni da pertosse, e molte persone con pertosse hanno sintomi simili a quelli del comune raffreddore: naso che cola o una normale tosse.
“Quasi tutto ciò che riguarda l’aspetto clinico della pertosse, in particolare la pertosse precoce, non è molto specifico”, ha detto la dottoressa Kirkland.
Questo è stato il primo problema nel decidere se c’era un’epidemia a Dartmouth.
Il secondo è stato con la PCR, il test rapido per diagnosticare la malattia, ha detto la dottoressa Kretsinger.
Per la pertosse, ha detto, “ci sono probabilmente 100 diversi PCR, protocolli e metodi utilizzati in tutto il paese” e non è chiaro quanto spesso siano accurati. “Abbiamo avuto una serie di focolai in cui riteniamo che, nonostante la presenza di risultati positivi alla PCR, la malattia non fosse la pertosse”, ha aggiunto la dottoressa Kretsinger.
Al Dartmouth, quando emersero i primi casi sospetti di pertosse e il PCR ha mostrato la pertosse, i medici ci hanno creduto. I risultati sembravano del tutto coerenti con i sintomi dei pazienti.
“È così che è iniziata l’intera faccenda”, ha detto la dottoressa Kirkland. Quindi i medici hanno deciso di testare anche le persone che non avevano una tosse grave.
“Poiché avevamo casi che pensavamo fossero di pertosse e poiché avevamo pazienti vulnerabili in ospedale, abbiamo abbassato la nostra soglia”, ha detto. Chiunque avesse la tosse ha fatto un test PCR, e così ha fatto chiunque avesse il naso che colava se lavorava con pazienti ad alto rischio come i neonati.
“Se ci fossimo fermati a quel punto, penso che tutti saremo stati d’accordo c’era stata un’epidemia di pertosse e di averla controllata”, afferma la dottoressa Kirkland.

Ma gli epidemiologi dell’ospedale e che lavorano per gli stati del New Hampshire e del Vermont hanno deciso di fare indagini supplementari per verificare se quelle che avevano trovato fosse effettivamente pertosse.
I medici del Dartmouth hanno inviato campioni di 27 pazienti che pensavano avessero la pertusse ai dipartimenti sanitari statali e ai centri per il controllo delle malattie. Là, gli scienziati hanno provato a coltivare i batteri, un processo che può richiedere settimane. Infine, hanno avuto la risposta: non c’era pertusse in nessun campione.
“Strano, abbiamo pensato ” ha detto la dottoressa Kirkland. “forse è dovuto al momento sbagliato della coltura, forse è un problema di trasporto. Perché non proviamo con i test sierologici? Di sicuro, dopo un’infezione da pertosse, una persona dovrebbe sviluppare anticorpi contro i batteri.
Hanno potuto ottenere campioni di sangue idonei solo da 39 pazienti — gli altri avevano già gli anticorpi legati al vaccino per la pertosse. Ma quando i centri per il controllo delle malattie hanno testato quei 39 campioni, i ricercatori hanno riferito che solo uno ha mostrato un aumento dei livelli di anticorpi che fossero indicativi di pertodosse.
Il centro malattie ha fatto anche ulteriori test, compresi test molecolari per ricercare le caratteristiche dei batteri della pertosse. I ricercatori hanno fatto anche ulteriori test PCR su campioni di 116 delle 134 persone che si pensava di avessero la pertosse. Solo un PCR era positivo, ma altri test non hanno dimostrato che quella persona fosse infettata da batteri della pertosse. Il centro malattie ha inoltre intervistato approfonditamente i pazienti circa i loro sintomi e come si fossero evoluti.

“Stava andando avanti da mesi”, ha detto la dottoressa Kirkland. Ma alla fine, la conclusione è stata chiara: non c’è stata un’epidemia di pertosse.
“Siamo rimasti tutti in qualche modo sorpresi”, ha detto la dottoressa Kirkland, “e siamo in una situazione molto incerta sul cosa fare quando ci sarà il prossimo focolaio”.
La dottoressa Cathy A. Petti, specialista in malattie infettive presso l’Università dello Utah, ha affermato che questa storia ha un chiaro insegnamento.
“Il grande messaggio è che ogni laboratorio è vulnerabile ad avere falsi positivi”, ha detto la dottoressa. Petti. “Nessun singolo risultato del test è assoluto e questo è ancora più importante con un risultato del test basato su PCR.”
In ogni caso la dottoressa Herndon, ora sa di essere fuori dai guai.
“Pensavo di aver causato l’epidemia”, ha detto.

 

 

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